Dove sono l’anima e il cuore del pontificato di papa Francesco a oltre 11 anni dal suo avvio (13 marzo 2013)? La domanda ha attraversato i due giorni che SettimanaNews ha dedicato al tema assieme ai suoi lettori (Albino, Bergamo, 25-26 ottobre).
Sessanta presenti, una meditazione biblica (sr. Elsa Antoniazzi), due relazioni di fondo (Daniele Menozzi, Vincenzo Rosito), cinque approcci diversi (Anita Prati, Antonio Torresin, Riccardo Cristiano, Francesco Sisci, Stefano Feltri) convergono attorno a una costellazione di parole: dono dello Spirito alla sua Chiesa, simbolo e servizio di unità, testimonianza talora discussa e divisiva, sfida evangelizzante.
Vangelo e “segni dei tempi”
Erede a pieno titolo del concilio Vaticano II Francesco ha sviluppato la radice evangelica e biblica dell’assise. Secondo D. Menozzi la parabola storica del decennio trova lì la sua origine. O meglio in una delle due anime che hanno costruito il testo e l’evento conciliare.
Davanti alla sfida dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo una prima linea riteneva che la Chiesa avesse sbagliato a contrapporsi alla legittima autonomia dell’uomo rivendicata dalla modernità, una richiesta giusta ma con un limite preciso dato da alcuni riferimenti morali universali. Una seconda linea partiva dalla stessa considerazione ma riteneva di sottolineare il fondamento evangelico e una esplicita scelta per i poveri. Paolo VI le ha interpretate entrambe fino a scegliere la prima con l’enciclica Humanae vitae.
Vi sono valori morali “non disponibili” che determinano un giudizio su comportamenti morali e sulle legislazioni civili. Nel caso specifico sui mezzi contraccettivi all’interno della chiamata alla fecondità. Sulla stessa linea e con maggiore convinzione si sono posti il magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Il deposito magisteriale del passato e la legge naturale diventano il punto di riferimento per tutti, credenti e no. La chiesa chiede ai cristiani di impegnarsi anche in politica perché tali riferimenti si traducano in leggi positive da parte degli stati.
Una linea che si potrebbe indicare come neo-cristianità, secondo la riflessione di Jacques Maritain. Con Giovanni Paolo II il principio di riferimento principe, cioè la libertà religiosa, diventa, dopo il crollo dei regimi dell’Est, il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale.
Un impianto che trova la sua interruzione nella consapevolezza delle coraggiose dimissioni di Benedetto XVI. Esse indicano il limite ultimo e definitivo.
Per questo il servizio petrino avviato da Francesco si riallaccia all’altra linea conciliare. Privilegiando i “segni dei tempi” e il Vangelo colloca i temi etici in un ruolo secondo, non secondario. È più importante la coerenza con il Vangelo e il suo messaggio di misericordia rispetto ai “valori non negoziabili”, alle richieste ultimative ai legislatori.
La Chiesa partecipa con il suo patrimonio evangelico alla comune ricerca dei popoli e delle loro società. In questa situazione tocca a tutti i battezzati individuare le modalità di nuovo annuncio del Vangelo, la cui intelligenza, legata ai segni dei tempi, trova una fondamentale cifra interpretativa nella figura evangelica del “buono samaritano”. Nell’incessante sviluppo delle vicende umane una creativa rilettura del Vangelo contribuisce alla credibilità del messaggio cristiano. “Segni dei tempi” e Scrittura non cancellano ma danno diversa collocazione al deposito magisteriale e alla legge naturale.
Sinodo e processo
Vincenzo Rosito ha identificato l’elemento più rappresentativo del pontificato nella dimensione processuale di cui è emblema il sinodo e la sinodalità. «Nella cultura sociale del popolo di Dio la processualità sembra essere entrata come una disposizione necessaria per tenere insieme la storia delle cose, la storia delle persone e la storia di Dio».
Non i documenti della tradizione in quanto testi scritti, né gli eventi in quanto iniziative compiute in se stesse, ma i testi “culturali” (tutto ciò che produce senso) e i segni (dei tempi) focalizzano l’attenzione sul vissuto del popolo di Dio e accompagnano la coscienza credente e il servizio al Vangelo. «La Chiesa sta entrando nel paradigma storico-ermeneutico della processualità, dopo aver attraversato e compreso il significato ecclesiale dei “testi” e dei “segni”. In altre parole, da una Chiesa che comunica se stessa e con se stessa attraverso testi e segni, stiamo passando a una Chiesa che inaugura e produce processi».
Passare dalla staticità al dinamismo, dalla forma compiuta e quella in fieri, dalla formalizzazione del vissuto all’attenzione al suo “farsi”: questo sembra essere il nuovo paradigma riconosciuto da papa Francesco.
Rosito ha specificato quattro declinazioni della processualità. Anzitutto la processualità come corrispondenza e cioè un esercizio di attenzione nell’impresa comune. Come avviene nel camminare in montagna dove ciascuno è attento all’altro e al panorama. La processualità come aggiustamento cioè come sensibilità verso realtà in trasformazione, come adattamento a una situazione dinamica. La processualità come improvvisazione.
Succede in musica come anche negli artisti di strada che l’avvio di uno strumento o di un dipinto sia ripreso e sviluppato creativamente da altri. Una catena di parole e gesti della comunità cristiana che non semplicemente si sommano ma diventano figura e testimonianza. Infine la processualità come negoziazione. Che la confessione stia scomparendo o che le convivenze subentrino alla forma matrimoniale non sono fenomeni che si risolvono con la deprecazione, ma che chiedono di essere compresi e “negoziati”.
Così i classici “stati di vita” dei credenti (sposati, ordinati, consacrati) vanno intesi come spazi di apprendimento più che come campi di identificazione. La novità dell’impresa è così espressa nel documento della Commissione teologica internazionale (La teologia nella vita e nella missione della Chiesa) che parla di sostantivo di nuovo conio: «La sinodalità […] indica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla missione evangelizzatrice» (n. 6).
Fra i documenti
Identificati alcuni elementi di fondo del magistero di Francesco – non gli unici, in particolare in ordine alla teologia – rimane da percepire la grande ricchezza di materiali che costruiscono l’insieme del suo insegnamento.
Con la particolarità che talora il papa non segue la tradizionale gerarchia di autorevolezza dei testi. Delle 4 encicliche vanno sottolineate Fratelli tutti e Laudato si’. Fra le migliaia di discorsi (213 solo quest’anno) emergano, ad esempio, quelli annuali alla curia e quelli al corpo diplomatico. Sono 41 le costituzioni apostoliche è fra esse Episcopalis communio (sul sinodo; 2019), Veritatis gaudium (sulla teologia; 2017), Vultum Dei quaerere (sulla vita religiosa contemplativa; 2016).
Nelle 7 esortazioni apostoliche troviamo il fondamentale riferimento di Evangelii gaudium (2013), Amoris laetitia (2016), Querida Amazonia (2020). Le lettere sono 337. Le lettere apostoliche arrivano a 103. Di particolare rilievo quelle dedicate agli abusi come Vos estis lux mundi (2023 – 2019), Come madre amorevole (2016), o quella dedicata alla nuova forma di riconoscimenti di santità (Maiorem hac dilectionem; 2017), o quelle finalizzate alla comprensione e pratica liturgica, Desiderio desideravi (2022) e Traditionis custodes (2021).
I motu proprio sono 80 e fra questi la Legge fondamentale dello stato vaticano (2023). 658 sono i messaggi fra cui vanno sottolineati quelli per la giornata della pace. Migliaia le omelie, le udienze, le preghiere e le meditazioni. Di particolare importanza i viaggi. Fuori Italia sono 47, mentre quelli in Italia sono 31. A partire da quello programmatico a Lampedusa (2013).
L’insignificanza
Se papa Francesco può essere indicato come un dono dello Spirito alla Chiesa, nondimeno è necessario percepire le consistenti critiche (alcune pertinenti, molte impertinenti) nei suoi confronti. Fa parte dell’esperienza pastorale la percezione di un consistente blocco di dissensi che nascono e crescono nel mondo dei social e alle resistenze intristite dei contesti più tradizionalisti.
Per quanto riguardano la teologia le critiche si servono spesso di nomi improbabili e di autorità assai discutibili (una piccola squadra di prelati si prestano per l’impresa). I cespiti di maggiore consistenza riguardano le indicazioni sociali (i poveri, gli immigrati, i marginali) e il dialogo interreligioso (in particolare con l’islam). Sul versante conservatore gli argomenti più gettonati sono le disposizioni liturgiche (i precisi confini per la liturgia pre-conciliare) e quelli morali (la discussione accesa sui sacramenti ai divorziati risposati, la benedizione per le coppie omosessuali ecc.).
Nel contesto quotidiano della vita parrocchiale non sono i contenuti che funzionano, ma piuttosto gli stereotipi e i simboli. Lo ha ricordato Antonio Torresin, parroco a Milano. «Non viene più riconosciuta una autorità indiscussa e unica, e la voce del papa si confronta e si confonde con altre autorità». Pochi leggono i testi, come del resto anche per i suoi predecessori. Funziona lo stereotipo ed esso è sempre anche divisivo.
Quello conservatore si applicava a Benedetto XVI, quello progressista a Francesco. Quando viene superata la barriera dell’ininfluenza – quella più comune – «un certo effetto divisivo e di confusione occorre riconoscerlo, forse più ancora dei papati precedenti». La sua figura funziona dal punto di vista simbolico: quando appare al balcone della basilica e saluta la folla, quando predica nella cappella durante la pandemia raggiungendo milioni di ascoltatori che ne apprezzano l’invito alla fiducia, quando nella piazza san Pietro vuota e segnata dal buio e dalla pioggia diventa colui che intercede. Ma la compulsività mediale travolge in fretta ogni memoria e accompagna nell’ininfluenza anche il papa.
Donne ignorate e curia ferma
Critiche argomentate sono stata pronunciate su tre punti particolari: le donne, la curia, gli abusi. «Gli uomini di Chiesa – ha detto Anita Prati – non si sono mai sottratti all’esercizio di descrizione, definizione e catalogazione della donna e del femminile.
Tenendosi in ambigua oscillazione fra i due poli Eva e Maria, hanno ora stigmatizzato la donna come janua diaboli, ora ne hanno celebrato ed esaltato la dimensione verginale e materna». Nonostante l’attenzione sincera di Francesco e la condivisione con le donne di alcuni elementi del potere di giurisdizione (le nomine femminili nelle curie) per il resto è tutto ancora da decidere.
E la conclusione del sinodo universale sembra confermarlo. Parlando sulle donne, alle donne e con le donne, pur avvertendo talora il prezioso spaesamento che la loro interlocuzione produce, il papa non sembra uscire dalla contraddizione fra l’esaltazione mistica del femminile e il rifiuto di un riconoscimento pubblico dell’autorevolezza delle donne. Nella «Chiesa di Francesco non c’è spazio per un vero dialogo con le donne: la Chiesa che Francesco diceva di voler sinodale, resta, di fatto, un “papato”».
La riforma della curia è stata una delle preoccupazioni più insistite. Il peso dei ripetuti scandali sia finanziari che mediali (Vatileaks e affini), il giudizio negativo sui troppi italiani nel sistema burocratico, l’irritazione per le cordate che assicuravano carriere non trasparenti hanno accompagnato una serie numerosa di disposizioni. Il “consiglio dei 9” cardinali nasce per questo.
Gli indirizzi strategici della costituzione apostolica Preadicate evangelium (2022) collocano la curia sul versante dell’evangelizzazione più che della gestione, sul servizio agile e pronto piuttosto che autoreferente, sulla garanzia di fluidità fra papa e vescovi (conferenza episcopali) piuttosto che filtro ingombrante. E tuttavia l’assenza di accurati decreti applicativi ha prodotto una destrutturazione dello strumento e una sua progressiva impotenza. Le costose perizie hanno propiziato una segreteria dell’economia che di fatto blocca ogni decisione. L’impegno sui media ha visto il proliferare degli uffici stampa e l’irrilevanza della segreteria.
Per di più il papa ha di fatto un proprio circuito mediale costruito con le oltre 300 interviste concesse che non trova armonizzazione nell’insieme. In alcuni dicasteri le previste fusioni non sembrano funzionare. L’indebolimento della Segreteria di stato ha tolto coerenza all’insieme favorendo il “ricorso al sovrano” che, alla fine, conferma il blocco del sistema. A tutto questo si aggiungono le contraddittorie decisioni sul Vicariato di Roma che sembra annaspare. Se il pericolo iniziale era quello di una curia corrotta, quello attuale è quello di una curia inefficiente e inutile.
Abusi e dintorni
Il tema abusi è stato affrontato brevemente da Stefano Feltri in rapporto alla credibilità della Chiesa in Occidente. Non affrontare il problema in forma coerente e sistemica significa permanere in una ambiguità penalizzante e inconcludente. Non si tratta di sottovalutare il percorso compiuto, in particolare con l’elaborazione del motu proprio Vos estis lux mundi, né di ignorare il sistema censorio messo in atto con il passaggio della considerazione degli abusi non solo come peccato, ma come crimine.
Si tratta piuttosto di capire che i sistemi statuali occidentali non sono più disponibili a riconoscere alla Chiesa una totale autonomia in merito. In altri termini, vi è un obbligo di denuncia ai poteri civili che non viene onorato. Per la cultura diffusa in Occidente le soluzioni ecclesiali interne non garantiscono quello che promettono e diventano strumenti per preservare l’istituzione dalle conseguenze reputazionali, sanzionatorie, organizzative e pecuniarie necessarie.
L’abuso non è una questione di “mele marce” ma richiede necessari cambiamenti nel sistema ecclesiale (dalla formazione dei chierici al controllo nelle parrocchie, alla responsabilità civili dei responsabili). Anche applicando integralmente il motu proprio e in presenza di una perfetta coerenza dei responsabili (vescovi e similari) resta il fatto che per la giustizia civile vi è un colpevole non sanzionato. Se non si arriva a una gestione trasparente adeguata degli abusi nascono un paio di conseguenze. Da una parte l’abuso è invocato per ragioni di lotta politica interna (vedi il caso di Pell, Orlandi, e fondazioni varie) per ragioni di potere; dall’altra parte la Chiesa perde una preziosa opportunità davanti alle emergenze dell’Occidente.
In una società ipertecnologica si percepisce il rischio di violare alcuni aspetti fondamentali dell’esperienza umana, fino a mettere in pericolo la specie. La Chiesa può essere una delle risorse per ridare spazio alle relazioni “calde” e fondanti, ma a patto di non avere scheletri nell’armadio, di una trasparenza effettiva. Il papa si è mostrato incerto: in alcuni casi è apparso deciso e coerente, in altri assai più incerto se non contraddittorio.
Guardando altrove
Annotazioni interessanti sono arrivate da come guardano a Francesco l’area del Medio Oriente (Riccardo Cristiano) e dell’Asia (Francesco Sisci). Il papa ha introdotto novità importanti nel dialogo col Medio Oriente. L’elemento di maggior riconoscibilità è il documento di Abu Dhabi sulla fratellanza universale (2019).
Sulla scorta della tradizione sufi il rettore di al Ahzar, Ahmad al-Tayyib, ha firmato un testo che toglie ogni giustificazione all’uso della religione come arma di offesa e giustificazione del terrorismo, ma che permette anche una significativa convergenza delle due fedi in una visione teocentrica. Cristiano ha ricordato che, dopo l’incontro del papa con il responsabile sciita Ali Sistani, si era aperta la possibilità che il rettore del Cairo potesse firmare di nuovo il documento assieme al papa e a Sistani. Operazione avrebbe coronato un incontro straordinario, ma che è stata impedita dal riacutizzarsi della guerra in Iraq e dai sospetti della politica.
La legittimità e provvidenzialità della pluralità delle fedi trova poco ascolto nelle comunità cristiane del Medio Oriente, ancora prigioniere del sistema del “millet”, di minoranza garantite dai poteri locali. Poco disponibili a giocarsi nella sfida di una cittadinanza condivisa. La recente apertura di un vicariato per la penisola arabica, per le aree pacifiche e più prospere del Medio Oriente, è una indicazione del possibile dialogo con gli altri protagonisti della geopolitica locale a supporto del Levante medio-orientale (Siria, Gaza, Libano, Israele ecc.) ancora travolto dall’oscurità della guerra.
Eucaristia e confessione
Per quanto riguarda l’Asia Francesco Sisci ha sottolineato la felice scelta strategica di guardare con attenzione a un continente che pur avendo fra il 2-3% di cattolici conta il 60% della popolazione mondiale. Liberare il papato dalla tutela europea permette una nuova attenzione all’Asia sia nella forma diplomatica dell’Accordo con la Cina per la nomina dei vescovi, sia per una partecipazione diretta al dialogo fra i popoli e le religioni.
Il cattolicesimo ha nelle sue corde alcuni elementi di grande suggestione per le masse asiatiche. Per quanto possa apparire strano l’eucaristia e la confessione sono contenuti che possono stimolare il dialogo con quelle tradizioni. L’annuncio di un Dio che si “fa mangiare” per attestare la fraternità e garantire la vita divina colpisce l’attesa di una fede incarnata nella vita quotidiana. La possibilità dell’attestazione del perdono stimola una tradizione che ha sepolto nei ritmi della modernità le forme tradizionali di espiazione della colpa verso la comunità.
Sisci ha aggiunto una nota nel richiamo alle denunce papali contro il sistema economico-finanziario emerse nel dibattito. Esse non scalfiscono le centrali finanziarie ed economiche mondiali (Feltri) che, semmai, sono più attente ai rilievi sulla custodia del creato. In Asia la Cina guarda con interesse alle denunce papali (Sisci) pur col rischio di una indebita manipolazione.
Nella meditazione iniziale sr. Elsa Antoniazzi, commentando il brano classico di Mc 8,27-34 (Tu sei il Cristo) non lo ha piegato alla giustificazione del papato, ma lo ha reso funzionale all’apertura dei cuori alla conversione richiesta dall’annuncio della passione. Pietro parla per sé e per tutti, invitando ciascuno a non porre limiti alla misericordia, all’inclusione e allo scandalo della kenosi, della passione e morte.